Sculacciavano sull'uscio, mettendo lo loro manine nella polvere bagnata, inzaccherandosi fino alla faccia. Io non avevo bisogno di spiegazioni. Il quadro era troppo commovente.
- Abbia pazienza Giorgio. Facciamo una polentata insieme.
- Alla buona, senza preamboli, veh?
Arturo, colui che aveva bazzicato in casa delle Muse, si scamiciò, ruppe le bacchette, accese il fuoco, risciaquò il calderotto e sudò e menò la farina in mezzo alle fiammate che lo investivano e bruciavano,
- Siedi e mangiamo, Giorgio.
La madre distribuì il fettone ai figli ed uscì con loro.
Divorammo senza scambiarci una parola.
Me la sentivo al gorgozzule.
- Se si potesse avere un bicchierotto di vino. E mi tolsi dal portafoglio due lire.
- Scusa, sai, ma noi non si beve vino tranne che nel giorno di Natale - da quattro o cinque anni. Quando avevo la mia vignola.... L'ho venduta all'antivigilia del matrimonio. Un matrimonio col tridente alle reni.
- Se tu non mandi a prendere del vino io muoio strozzato.
- Corro da Tonio.
Sostai. Quanta negrezza! quanta poverezza!
- To', bevi, Aspetta che ti lavo il bicchiere.
- Alla tua salute.
- Alla tua.
- Adesso sto meglio. Dicevi, dunque, di esserti maritato col tridente alle reni?
- Nè più nè meno. Ci si mise di mezzo il parroco, il sindaco, il segretario, i carabinieri, il vicinato, i genitori e un pochino anche le minaccie. Erano tutti contro di me.
- L'avevi? Ho capito.
- Io mi scalmanavo a dir loro che con quattrocentocinquanta franchi all'anno non potevo prender moglie. Ma il sindaco mi tappava la bocca.
| |
Giorgio Muse Giorgio Natale Tonio Aspetta
|