Parlando con me, usava il voi.
- Scritturale, copiatemi questi tre verbali.
Aveva una calligrafia perfida. Alle volte mi ci perdevo sopra cogli occhi senza indovinare che cosa diavolo aveva scritto. Andavo da lui e lui strideva coi denti.
- Dite piuttosto che non sapete leggere. "Il cascinale bipartito." È tanto chiaro!
Se si aveva bisogno di "collazionare" ero io la vittima.
- Giorgio, venga qua, che "collazioneremo" i prospetti del mese.
Era questa la più alta delle disgrazie. Mi toccava leggere fino alla raucedine. Mentre il più gentile era il signor Serafino, segretario. Malgrado le dicerie e le bestemmie che si dicevano dietro al suo uscio, io l'ho trovato un perfetto gentiluomo. Aveva delle delicature. Invece di adoperare l'imperativo, mi pregava.
- Giorgio mi faccia il piacere di copiare questa lettera. Oppure: mi faccia grazia della "posizione" di Angelo Picozzi di Sommacampagna.
Per regalarmi uno zigaro di virginia, mi apriva l'astuccio:
- Via, via, si serva.
Se mi tratteneva dopo le quattro per qualche suo lavoro, mi metteva in mano una lira e qualche volta due.
- Beva un caffè alla mia salute.
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Colla mia obbedienza cieca che non lasciava mai trapelare i moti convulsi che provavo internamente quando mi si brutalizzava, ero riuscito simpatico a tutti. I visi arcigni, le musonerie, le imperiosità, le bizze dei primi due mesi non esistevano più. Mi si dava il buon giorno e la buona sera con degli - arrivederci Giorgio.
Il ragioniere, un vecchio dalla fronte alta che fuggiva sotto ai capelli grigi, che aveva avuto delle velleità poetiche negli anni giovanili, quand'era ristucco di mastri e di registri, mi mandava a chiamare dal portiere.
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