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- Non mi parli dei rossi, - malanni di tutti i paesi, zavorra di tutti i governi. Se foss'io il Governo! La legge Pica vorrei, per questa gentucciaccia. Io sono stato ufficiale giù negli Abruzzi e so come si spazzano le vie ingombrate di feccia. Ran! È l'unica risposta che darei ai turbatori dell'ordine. Che ne dice lei dottore?
- Potendo, mi ci metterei al suo fianco. Ma veda, l'umanità non tende più le braccia verso Dio e verso il re. Diventa Dio e sovrana essa stessa.
- Dunque non dico male quando invoco la legge Pica? Oh gliela vorrei far vedere io a quella becerocrazia, a quella ciurmacciaglia che mette in piazza le cose più sante del focolare domestico e delle patrie istituzioni. Ma con che diritto escono questi ciurmadori a turbare l'ordine costituito?
- Scusi, signor cassiere. Questa è grossa. Col diritto che abbiamo tutti della libera discussione.
- Non fraintendiamoci. La loro è prepotenza. Noi siamo la maggioranza, noi siamo il plebiscito e noi vogliamo le cose come sono col re legittimo alla testa. Sta a vedere che sarà permesso a quattro scalzacani di venire ad imporci la loro repubblica. Dico bene o non dico bene, dottore? Bella cosa la repubblica! Sapete che cos'è la repubblica di quella giovinottaglia sguantata? Una mannaia che decreta. Questa la libertà degli arruffoni: questo il diritto di scelta: o accettare o passar sotto. Nipoti di Marat. Brrr! Ha sentenziato bene Cesare Cantù di quest'altro miserabile: un idrofobo ingordo di vituperi e di sangue. Un mangiaborghesi!
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