- Eccellenza, gli dissi con un grand'inchino.
- C'è il signor segretario?
- Sì, eccellenza.
Mi guardò di soppiatto e m'imparadisò di un sorrisetto che valeva e non valeva.
- Entri, eccellenza.
Mentre i due uomini erano rinchiusi a parlottare, noi appostavamo volta a volta l'orecchio alla toppa.
- Hai sentito? Che cosa?
- Nulla.
- Sordone. Ci vado io.
- E tu?
- Maledetto. Ho udito un no secco, reciso. Chi lo pronunciava? Non ho potuto distinguere la voce.
Diventammo bianchi.
- È impossibile - si diceva - Serafino non è un coglione.
- Ci andrò io. Vedrete che timpano!
- Va bene tutto.
- Ne sei sicuro?
- Diavolo. Ho sentito la voce piagnocolosa del duca che diceva lemme lemme: Bene, bene, vedremo. Intanto io le darò un bono di ventimila lire.
Ci mettemmo una mano alla bocca e rattenemmo l'ah di trionfo.
- Pss, silenzio. Ho sentito la rotella della poltrona.
Scappammo ciascheduno al nostro posto.
Uscirono colle guancie infervorate. Il segretario precedeva il duca e dai sorrisetti che spargeva, si capiva che il veterinario aveva ascoltato benissimo. Lo accompagnò fin giù in portineria e si salutarono con delle scosse di mano.
Appena salito, gli fummo ai panni come un'interrogazione.
Il dottor Serafino si abbandonava morto nelle braccia del cassiere. Aveva dovuto sudare per fargliela entrare nella testa, ma c'era riuscito. Là, là il premio di tanta fatica fu un bono di ventimila lire pagabile a vista.
Per alcuni mesi non si infilzavano aggettivi che pei cattolici. Tuttavia il corpo sociale aveva il verme solitario nel ventre che inghiottiva e inghiottiva insaziabilmente.
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Serafino
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