Nel complesso degli impiegati, io e il portiere esclusi, perchč noi non si partecipava al saccheggio, non esisteva quello spirito di sacrificio e quel pensiero tenace, indomabile, bronzeo che dą vita alle istituzioni pił rachitiche. Ma era in tutti una sete rapace, una voglia infrenabile, spasmodica di far bottino, congiunta a una spensierata incuranza degli interessi dei consociati. Il veterinario e il cassiere, non pensavano che alle spese di "trasferta" e ai boni straordinari diventati vere sanguisughe. E il segretario? Anche lui con un pretesto o con un altro, era sempre alla cassa. Il suo stipendio di mille lire al mese non gli bastava che per quattro o cinque giorni. La sua casa era una voragine. Pił ne portava e pił ne divorava. Una famiglia la sua, cresciuta in mezzo agli agi, vissuta in mezzo al fasto che non sapeva acconciarsi alla nuova situazione del padre, costretto, dallo scialaquo, a cercarsi la mensa a furia di ripieghi e di lavoro. Con una moglie che non sapeva il perchč gli uomini trafficano e una figlia venuta su folleggiante tra i vezzi, ai profumi, ai ninnoli e a quel lusso sfondolato che conduce a rovina se non esce dalla rendita netta, il povero Serafini doveva precipitare e con lui l'associazione e gli impiegati.
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Sei anni dopo ho dovuto soccorrerlo con due lire. Povero segretario!
Dal mio sfogliazzo
Sono nella sala S. Giovanni da due mesi. Quarantasei giorni alternati di febbri cocenti - di letargo, di sofferenze, di tribulazioni.
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Serafini S. Giovanni
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