Risparmiate sui vostri stipendî, ma non spilorciate sulla poveraglia che ha acquistato il diritto di morire in un letto a spese del complesso sociale che sta bene.
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Lo stanzone è al primo piano a ridosso di quello dei cronici. I miei compagni di "sala," hanno tutti una faccia patita patita - come se si fossero nutriti per dei mesi a pane stracotto. Alcuni sono come me, in letto, altri passeggiano su e giù nella veste a righe di tela da materasso, con grandissima noia di coloro che amano la quiete. La maggioranza è di una giovinezza decrepita. Porta già il suggello delle rughe e s'incurva e va via slombata e si piega su sè stessa che è una desolazione. La convalescenza, secondo me, dovrebbe essere ristorata. Ma invece il cibo se aumenta in quantità peggiora in qualità. Non ci si dà più che del pane, della minestra e della zuppa - l'una più cattiva dell'altra. Dopo aver trangugiato tante pozioni scellerate, dopo uno snervamento di quindici, venti, cinquanta giorni, dopo operazioni l'una più assassina dell'altra, non vi pare che si abbia bisogno di un bicchier di vino, d'un po' di carne, di una coscia di pollastro, d'un po' di verzura? Ditelo voi, signori, che di queste vivande ne mangiate tutti i giorni - pur non essendo ammalati.
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La notte in sala dei convalescenti è più tranquilla. Quassù non sentiamo il rantolo e l'asma delle altre crocere e neppure ascoltiamo le brusche esclamazioni saettate nel fitto del silenzio e del buio come una schioppettata.
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