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      La mia scolaresca è cresciuta. I due sono diventati cinque. Ottimo don Giovanni, grazie. Tu vai a caccia di analfabeti e mercè tua le venti lire milanesi sono salite a trentadue. Un marengo, un franco e trentaquattro centesimi. Non muoio più. Il suo uncino sarebbe stato di farmi nominare maestrucolo in paese. "Ma il comune è così povero, Signoreiddio. Se il sindaco potesse spendere centocinquanta o duecento lire, non vi mancherebbe più pane, credetelo. Un po' di qua, un po' di là, la stanza gratis... Ce ne sono qui delle stanze vuote! Il vitto tra noi costa un niente. Quattro patate, delle cipolle abbrustolite, una brancata di ciliege, una mela, che so io? Voi vi contentereste, nevvero? Purchè si faccia colazione e si desini. A voi che importerebbe? Qualche volta vi vorrei a mangiare al mio desco tanto per far quattro chiacchiere. Questo isolamento, questa solitudine, questa vegetazione... Ve lo dico io che è una noia. Che mi valgono gli studi teologici e letterari, in mezzo a questo gregge macilento col quale non è possibile alcuna discussione? Quando mi dite che sono felice.... Un prete felice! Sapete che cos'è un prete? Un vivo nella tomba. Un uomo che non è uomo. Un essere obbligato a soffocare, a dimenticare, a comprimere. Oh assai meglio il carcere, il bagno, la catena del forzato. Avere un'idea che balza, un cuore che sente, un'anima che vorrebbe vivere, slargare il volo, volteggiare in orizzonti più ossigenati e sentirsi i cento mila fili invisibili che impacciano, che ingarbugliano, che legano e sopprimono.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





Giovanni Signoreiddio