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Io la vedo ancora sulla straduccia, a quattro miglia di porta Vittoria, a sinistra delle cascine Biscioia e Biscioina venire alla mia volta, sotto all'ombrellino che le inaffiava la faccia di solferino, con un mucchietto di margherite che ventava. Mi metteva la mano e la testa sul petto come se avesse voluto ascoltarne il respiro, e vi rimaneva, in quell'abbandono, qualche minuto trasecolata. Poi si levava con un sorriso che io scambiava con un bacio di fuoco.
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Ritornando a casa i divertimenti erano infiniti. Quasi sempre voleva che ci fermassimo davanti a un laghetto ore guazzavano le oche. Le piacevano quei colli esili e candidi che si tuffavano e si rituffavano senza stancarsi mai e quelle ali che starnazzavano alla superficie e spruzzavano i fili d'erba che costeggiavano la riva. Se aveva della mollica, ve la buttava e godeva mezzo mondo se la pił piccina ne abboccava la sua parte. Qualche volta invece era curiosa e voleva sapere che cosa avevo insegnato ai miei scolari.
- Parliamo d'altro Adele, che cosa vuoi che abbia loro insegnato? Cose noiose.
- Non importa, dimmele.
E io, senza accorgermi, le rifacevo la lezione. Le spiegavo come il verbo possa diventare sostantivo e come il plurale non possa stare al posto del singolare. Se le parlavo poi di figure rettoriche, restava meravigliata e il mio io le si ingigantiva nel cervello.
- Quando saremo assieme, mi farai imparare tante cose, nevvero?
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Vittoria Biscioia Biscioina Adele
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