- Carbonchio. Eh, l'ho sentito subito.
Il lucignolo avviluppato nell'onda bigia e greve dei fiati e delle trasudazioni, pareva morisse.
- Ma io ho bisogno di chiaro, Marchini. Dateci delle candele, santo Dio. Ora non è il momento d'economia.
Si accesero due torce di resina.
- C'è anche il taglione. Guardate come m'ha conciato questo bue.
Era giù piatto, sulle zampe, il testone sdraiato sullo strame, l'occhio che moriva nel cristallo, colle grosse labbra che sbavacciavano indolentemente.
- È tutto ulcerato. Ulcerato nello spazio interiugulare. To' gli si distaccano le unghie. Ulcerato alla lingua e alla mucosa del naso.
- E così, don Giovanni?
- Può guarire, Va curato cogli astringenti locali: calomelano, per esempio. Una soffiata di calomelano e una buona scottata di pietra infernale.
- Come siete buono, don Giovanni.
- Lasciamo i complimenti. Prima di tutto pensiamo all'ambiente. Purifichiamo l'aria, disinfettiamo la stalla, laviamo le rastrelliere, la mangiatoia, i capestri e rinfreschiamola di paglia tre o quattro volte al giorno. Tenete a mente questa massima: pulizia, pulizia e pulizia. Tu, Mangiafagioli, dà un paio di secchiate a questo rigagnolo di orina. E voi, Marchini, fatemi buttar fuori queste tre carbonchiose. Ma badate che ci vuol giudizio. Poichè quel sangue nero, avvelena irrevocabilmente. Già non è la prima volta che un veterinario va all'altro mondo per imprudenza o per ignoranza. Sissignori, ci sono veterinari che non conoscendo bene la malattia carbonchiosa passano a miglior vita.
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