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      Il mondo festaiuolo lo si vedeva girare sulle colline di S. Tommaso, di S. Fermo; spuntare sulle alture di Brunate, venir gių a frotte dal Bisbino, scavizzolare da monte Olimpino, da San Giuliano; sbucare da San Agostino, da Borgo Vico e irrompere in San Pietro compatto, serrato, entusiasta come i crociati. E in mezzo a questa nota grossa, grassa, stuonata, le canzoni giulive delle filandiere che squillavano la gioconda allegrezza dei loro cuori paesani, che saliva acuta, argentina, carezzosa come un'alata di rondine.
     
     
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      Abbigliato il gabinetto, riempivo il tavolino coperto di tela cerata, degli apparecchi di lavoro. Una bottiglia e una caraffa di cristallo terso, dei denti mascellari, incisivi, canini, dei pezzi di mascelle, un teschio umano che faceva rabbrividire, accanto ai ferri ad ago, acuti, storti, bistorti, a lama, a triangoli, a fili, a puntirolo, tutti riscintillanti come fossero usciti allora allora dall'arrotino. Bastrini diceva giustamente che cosė facevano pių "effetto." Delle tenaglie, dei trivellini, delle forbici, dei coltelli circondati da una montagnola di cartocci, di "radici" e di bottiglicine fasciate dalla "ricetta," i due farmachi che l'illustre chirurgo spacciava alle turbe "per far cessare immediatamente qualsiasi dolore." Al disopra di questi ordigni spaventevoli e ridicoli, tre quadri zeppi di attestati di estirpazioni felicemente compiute, di lettere, di felicitazioni di "celebri chirurgi" e di parecchie dichiarazioni di pazienti immaginari, nelle quali era detto della sua "bravura" e delle cento lire che si "permettevano di inviargli.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





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