Vedevo la carrozza che attraversava il corpo del caduto alzando le ruote, l'orbo trasecolato nella preghiera che guardava meravigliato la luce che lo abbagliava, la madre graziata che aveva offerto se stessa per la salvezza del figlio, lo storpio che si raddrizzava raggiante di gioia, il fanciullo ballonzolato dalle onde e urtato a riva, mentre la madre agitava le mani davanti a Sant'Anna; il fulmine che aveva schiantato la grossa quercia e stramazzato il toro e lasciato incolume il bovaro. E via e via. Miracoli un più portentoso dell'altro, dinanzi ai quali rinasceva l'entusiasmo anche in coloro nei quali tentennava la fede. Il Cristo, il fortunato Cristo, inchiodato, palpitante di convulsioni, la testa divina contorta sulla spalla destra, il petto gonfio degli ultimi aneliti, cosparso del sangue della redenzione, pareva giubilasse dall'alto della sua croce eterna che eternizzò il suo sagrificio. La gente affollava ai suoi piedi e smaniava precipitando le labbra sulle ferite, abbracciandone il legno, toccandone le gambe coi fazzoletti, cogli indumenti, colle medaglie. Le madri sorreggevano i figli, gli uomini le donne, gli alti i piccini, come una gara, un trasporto, un giubilo, non visto in nessun altra processione. Un villano, si sarebbe fatto schiacciare tre volte piuttosto che andarsene senz'essersi fatto benedire il suo rotolo di carta bigattesca. Che ubbriacatura religiosa, che vertigine cristiana, che documento per coloro che profondano lo scandaglio nelle viscere delle generazioni passate.
| |
Sant'Anna Cristo Cristo
|