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      La vostra civiltà, o signore, è una civiltà violenta, una civiltà che permette al forte di impoverire il debole, che vive di stragi e si diguazza nel sangue delle sue vittime
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      Luraschi ebbe paura. Egli aveva veduto il marchese pronunciare le ultime parole come un ispirato o un uomo che farnetica dietro un ideale senza ritorno. L'idea piccola dei piccoli italiani che vorrebbero sbocconcellare il regno per crearsi una felicità politica insulare. In lui sono sviluppate tutte le rancide sentimentalità irlandesi che conducono alla ribellione politica e all'indifferenza per tutto ciò che è benessere intellettuale ed economico. No, no, egli rimaneva fermo sulla base granitica della società senza delitti collettivi e senza associazioni segrete. Solo lo Stato ha diritto di punire per la sua conservazione e per il bene di tutti. Si alzò calzandosi un guanto giallo come la scorza di un arancio e con un inchino disse addio al marchese, il quale si era riseduto ed era rimasto cogli occhi imbambolati su una tela appesa alla parete che riproduceva suo padre colla bonaca di velluto, il berretto rotondo col risvolto di peli, la carabina in spalla, la cartucciera al ventre, a zonzo per il latifondo circondato da un nugolo di campieri.
      E il suo sogno di un'Italia insulare ripopolava il suo cervello. Egli, guardando il genitore che rappresentava il capo della baronia, vedeva una Sicilia libera, autonoma, padrona di sviluppare le sue risorse. Una Sicilia bella, operosa, colma di ricchezze, con un avvenire sempre più lieto per i siciliani.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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