La madre era un tronco di donna che faceva tremare le pareti della casa quando era in moto. Ammantata di carne, con una faccia larga e fiorente di salute, con i capelli neri come l'ala di corvo, bipartiti e girondolati sulla nuca, risvegliava i sensi. I suoi grandi occhi sotto le stupende sopracciglia avevano i lampeggiamenti della lussuria.
Vestiva con gusto squisito. Indossava un bolero violaceo che le lasciava libero il collo senza scendere per il largo e una veste color sabbia scura fiorita di viole cupe aggruppate intorno a testoline di fanciulle. La fascia nera che le cingeva i fianchi staccava i colori e dava maggior risalto all'uno e all'altra.
A tavola signori e signore!
Giunsero al terzo piatto coi soliti luoghi comuni delle persone che non sanno cosa dire o non sanno trovar modo di scaldare la conversazione. Arrivati al soggetto donna la discussione divenne generale. I commensali si divisero in due partiti. Femministi e antifemministi.
La signora Tiraboschi diceva che il regime siciliano era troppo severo per la donna. La si considerava una schiava dell'harem. Non era la sposa, ma la proprietà dell'uomo. Domani il barone tale poteva invitare uomini al suo castello, al suo palazzo, alla sua residenza e pranzare con loro senza neppure far loro conoscere la signora di casa.
Mi terrei offesa se mio marito facesse degli inviti e mi lasciasse in cucina o in un'altra stanza a mangiare sola o coi servi. È un costume medievale che dovrebbe indisporre tutte le isolane
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Paese che vai, costumi che trovi
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Tiraboschi
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