È lui solo che può comunicare di queste notizie scandalose ai giornali del continente. Ci sono le sue frasi. Non è che lui che sappia che mi sono servito di una cinquantina di mila lire del Banco per comperarmi una macchina da irrigare il mio fondo. Dite che non si fa mai nulla per la agricoltura, e non appena un uomo ci si mette sul serio, gli si mettete innanzi come tanti paracarri. E questi giornali compiacenti che si danno l'aria di avere dell'ingegno e non sono che l'eco di quell'uomo appiattato dietro i loro usci? E di che cosa ci si accusa? Di avere della fortuna. Ecco il nostro grande delitto. Il delitto di esserci divisi dei buoni biglietti da mille. Sottigliezze da leguleio. Per contristarci la gioia di avere la bosse del finanziere che non gioca a occhi chiusi si capovolge il nostro caso e ci si mette al posto degli imbecilli! Bravi! Tenetevi bene a mente che in questo secolo scientifico non c'è fortuna. Non ci può essere fortuna. Non c'è che l'intelligenza. Voi punite le nostre facoltà intellettuali. Voi siete dei sofisti. Voi dite che se si fosse perduto, il Banco avrebbe dovuto rispondere delle differenze tra il prezzo di acquisto delle azioni e il corso del giorno. Perché i nomi coi quali si sono fatte le operazioni non figuravano nei registri, perché gli ignoti divennero noti solo quando si dovevano intascare le differenze del rialzo e perché Anfossi e Bartolo non erano che due prestanomi impotenti a pagarne le perdite. Se volete parlare di perdite, parlate di voialtri.
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Banco Banco Anfossi Bartolo
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