Ma le prove? La verità è che l'istruttoria del mio collega sopprime qualsiasi dubbio e afferma che Giuseppe Fontana di Vincenzo il primo febbraio 1893 non poteva essere sul luogo del reato. Perché il 27 di gennaio egli avrebbe scritto e imbucato all'ufficio postale di Hammamet, in Tunisia, una lettera al suo socio Anfossi, a Palermo, il quale alla sua volta, il 4, ha inviato al Fontana un vaglia telegrafico esatto dallo stesso Fontana il 6. È risultato pure dai registri della Società agraria, della quale il Fontana faceva parte, e dai registri della Posta e dai registri della Società generale di navigazione che il Fontana commerciava in quei giorni in agrumi, e che la Casa che gli inviava era la nota ditta Telere.
Con tutti questi dati nessuno ha il diritto di accusare il collega che mi ha preceduto in questa inchiesta, di incuria e di troppa buona fede".
Non accusiamolo, se vi garba. Al suo posto non avrei creduto all'alibi. Un magistrato che vive in Sicilia da parecchi anni non può dormir tranquillo sull'alibi di un accusato. Nei suoi panni avrei dedicato il mio tempo negli orari ferroviari e di navigazione per vedere se egli, partendo il ventisette da questo golfo tunisino avrebbe potuto raggiungere il treno, diciamo, di Marsala per Palermo per essere poi in tempo a mettersi nel treno del delitto
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Ha fatto di più. Egli si è assicurato se in quel giorno fosse mai partito da quel porto qualche veliero. E le risultanze delle interrogazioni fatte dal viceconsole italiano di quel luogo gli hanno tranquillato l'animo del magistrato.
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