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      Lo Sgadari sapeva che ciò che gli capitava era quello che poteva capitare a qualunque signore attorno per la campagna. Non gli si torse un capello e non lo si fece soffrire. Capraro non inaspriva. Invece di condurlo in una grotta qualunque come si è fatto con Notarbartolo, lo fece entrare cogli occhi bendati in una casa ammobiliata signorilmente. C'erano le poltrone, gli specchi e la biancheria che pareva quella di una sposa. Il ricattato era un barone che aveva aperto la borsa ai latitanti più d'una volta e non meritava sgarbi. A tavola lo si serviva con la posata d'argento, gli si portavano intingoli preparati da un cuoco d'albergo
      e gli si davano tutti quegli agi dovuti a un alto personaggio. Capraro passava delle ore a chiacchierare con lui come fra due amici. Tra loro non c'era odio personale. L'uno aveva incontrato l'altro. Il più forte domandò la borsa al più debole. Pagata la taglia di centoventi mila lire in oro, gli si restituirono l'orologio, il portafoglio col denaro, gli anelli delle dita e lo spillone di brillanti di un valore che avrebbe fatto gola a un brigante senza punto d'onore. Si separarono da fratelli. La banda lo accompagnò alla prima stazione di ferrovia, domandandogli, prima di salutarlo con un inchino, il permesso di baciargli la mano. Non ci fu altro. Fu un'operazione che non lasciò fiele in alcuno. Nessuno ne seppe più niente. Se avesse fatto così anche Notarbartolo non ci sarebbe persona che gliene vorrebbe. Invece no; invece egli volle fare lo spione e gli spioni non possono avere lunga vita su questa terra.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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