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      Chi fa male trova male. È un proverbio che non falla.
      L'Angela non gli dava tregua. A ogni tanto con la schiena sul muso del marito e le gambe fin sotto il mento, borbottava e grugniva con certi versi che gli stracciavano l'anima. Ella giurava sul capo del suo povero figliuolo che le avevano ammazzato come un coniglio poche settimane prima, ch'era da bestia quello che stava facendo. Egli poteva avere cento ragioni di sfogarsi contro il commendatore, ma non ce n'era una perché egli facesse di tutto per farsi chiudere in un ergastolo per il resto dei suoi giorni. Lo aveva sposato per compassione di vederlo sempre dentro e fuori, ed ecco il bel regalo che le ne veniva. Ogni volta che gli prende il capriccio, ne fa una delle sue e ci lascia nei pasticci.
      Sì, sì, era meglio che facesse presto e se ne andasse per non tornare mai più indietro. Se doveva finire così, tanto valeva che finisse subito. Lei non voleva crepare di dolore. Se Iddio lo aveva destinato alla galera per la purgazione dei suoi peccati, pazienza, la volontà di Dio doveva essere fatta. Ella e il suo figlio e la sua sorella non sarebbero morti di fame. Lui era padrone di fare quello che voleva. Il suo dovere di avvertirlo lo aveva compiuto. Se stava così male a casa sua, la porta era aperta. Non gli sarebbe andata dietro a piangere. No, per i santi del paradiso. Aveva pianto anche troppo. Dal giorno dello sposalizio non aveva avuto che tribolazioni. Avrebbe fatto meglio a gettarsi in un pozzo. Basta, adesso non c'era più da pensarci.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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