L'anello grosso colla larga pietra violacea e il cappello di feltro nero che lo difendeva dal sole gli davano un'aria di grande signore. Gli altri campieri che ci stavano intorno come una corona, sbarbati anch'essi, avevano in testa una berretta rotonda cenerognola e indossavano una giacca e un paio di calzoni rasente le gambe di tela greggia. Cingevano ai fianchi una fascia verde, i cui fiocchi svolazzavano tutte le volte che la comitiva si metteva a trottare.
Noi eravamo armati di piccoli revolvers che tenevamo nel taschino del panciotto e loro di doppiette, carabine corte a due canne che si lasciano maneggiare e puntare anche da un ragazzo. Il loro tiro a settecento passi è sicurissimo.
Non uno dei miei campieri, disse il barone, lascierebbe in piede un uomo che ci desse fastidio
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Che peccato, barone, che i terreni dei latifondi rimangano spopolati. Si è come in un deserto. Si va, si va e si continua andare senza trovare mai né un albero, né una casa. Da noi è il contrario. Le nostre campagne sono affollate degli uni e delle altre. Si è sicuri di bere un sorso d'acqua fresca ad ogni tiro di schioppo
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L'acqua è forse la ragione dello spopolamento. Non piove mai, mai, mai! Date un'occhiata a tutti questi prati arsicci. Siamo condannati a una siccità che ci mette sete, ci distrugge il raccolto e ci converte i ruscelli in stagni pestilenziali, in pozzanghere dalle quali vaporano miasmi che producono la malaria micidiale e rendono inabitabili il suolo più ubertoso d'Italia. Perché il nostro suolo è fertile, fruttifero, è pieno di risorse.
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