Bondì, signore
, mi disse prendendomi per la mano e accompagnandomi fino al vestibolo a vetrate che ci permetteva di vedere in faccia allo scalone un giardino lussureggiante e colorato da una moltitudine di fiori.
La figura più eminente nel vestibolo era, per me, il maggiordomo. Un tipo delle vecchie case patrizie, un servitore fedele che nasce e muore nello stesso luogo e patisce e gioisce dei dolori e della letizia dei padroni. Alto, con una testa rotonda di pochi capelli bianchi girati intorno le tempia, con una faccia olivastra, col collo lungo, vestito di nero, con cravatta bianca e il davanti della camicia a pieghette alternate di bollicine circondate di trafori.
Il barone gli andò incontro, domandandogli come stava.
Bene, signor barone
.
Giovanni, conduci i signori nelle loro stanze e metti a loro disposizione Giuseppe e Federico, due servi che non soffrono distrazioni. Ci rivedremo fra un'ora, se non siete stanchi, non è vero?
Fra un'ora
.
Il mio appartamento era composto di tre locali. Il salotto, la stanza da letto e il gabinetto della toeletta. La tappezzeria del salotto era caffè chiaro con dei rosoni vermigli slabbrati sulle foglie fresche. Nella parte più larga era incastrato un magnifico specchio di Venezia che mi riceveva tutto intero e mi rifletteva parte del soffitto illustrato da una corona di ninfe leggiadre colle eminenze del seno coperte di tulle rosa. La parte di faccia era coperta da una libreria giallorossigna come il mogano, piena di romanzi, di libri politici, di studi letterari, di opere d'arte, in francese, in inglese, in tedesco e in italiano.
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Giuseppe Federico Venezia
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