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      La baronessa prendeva parte alla conversazione con qualche monosillabo e sovente vi aggiungeva la sua esperienza acquistata durante l'assenza del barone. Essa conveniva che il latifondo, come era tenuto dalle grandi famiglie, voleva dire la miseria delle masse dei campi. Non dava abbastanza lavoro e produceva troppo poco.
      Non ho mai capito, barone
      , gli domandai, "perché i contadini siciliani non vogliono abitare la campagna. Da noi, dappertutto, i campagnuoli rimangono campagnuoli. Salvo coloro che emigrano, non ce ne sarebbe uno che lavorerebbe in campagna e abiterebbe in città, nemmeno se gli pagassero la carrozza. Vi si troverebbe come un pesce fuor d'acqua, senza contare i disagi delle abitazioni a parecchie miglia dai campi di lavoro".
      È un argomento troppo complesso, perché io vi possa rispondere con poche parole. Ce ne occuperemo quando vi condurrò a vedere le abitazioni dei miei coloni, abitazioni, non fo per dire, che non troverete neppure sui fondi del duca d'Aumale, il quale, con degli ingenti capitali, ha sostituito e sta sostituendo la coltura intensiva alla estensiva in tutta le terre accomunate sotto il nome di Zucco, non molto lontano da Palermo
      .
      I camerieri che ci servivano a tavola sembravano le due parti della mela. L'uno assomigliava all'altro e tutti e due parevano nati nello stesso giorno e colla stessa voce. Senza vederli non si capiva se era Carlo o Giuseppe che rispondeva. Vestivano entrambi di bristol nero, colla giacca che arieggiava lo smoking e col cravattino bianco puntato al bottone del solino candidissimo.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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