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      È vero, non lo nego, il mio padrone... avete ragione, diciamo il nostro padrone, riceve alla mattina seduto sul trono. È un po' troppo di confidenza. Pensiamo però che lui non ha tempo da perdere alla latrina. È obbligato se vuole fare tutto, a rompere le buste delle lettere e a sentire le persone mentre fa le cose sue, per correre dopo al Consiglio, al Banco, alla Congregazione, ai suoi uffici. Si fa presto a dir male della gente. Mettiamoci nei suoi panni, quando si hanno tanti affari e quando ci sono tante persone che vogliono dirvi, supplicarvi, salutarvi, incoraggiarvi, e magari domandarvi dei denari. Lui è generoso, lo sapete. Ho visto io con queste pupille mettere le mani in saccoccia o nel portafoglio e dare a occhi chiusi. Ce ne fossero degli uomini come lui. Antonio, si va o non si va a tavola? Va' a vedere se la Bigia è pronta. Noi non s'aspetta che lei. Sentite come si sbattono gli usci. Signori, a tavola, tutti i posti sono buoni. Purché io resti a faccia a faccia o vicino col mio Fontana. Tu sai che il padrone ci vuol bene. Sediamo ai lati del suo posto".
      Luraschi era stordito della eloquenza e della vivacità di Filippella. Coll'aria di bonaccione contento ascoltava a destra e a sinistra, rispondeva da tutte le parti e metteva dovunque la frase o la facezia che ravviva e rende piacevole la conversazione.
      I commensali si buttarono sull'antipasto colle mani e colle forchette, facendo del chiasso, contendendosi le fette di salame più larghe o circondate di grasso bianco, strappandosi i bocconi di pane dalle mani, buttandosi in faccia la pelle del salato e scambiandosi parole triviali che facevano sganasciare dalle risa parecchi.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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