La suggestione per il suo "affare" gliela diedero le memorie del Canler, il famoso capo della polizia che aveva arrestato l'illustre assassino e poeta. Egli le leggeva e le rileggeva e le meditava e le commentava, e l'idea fissa gli si fermava sempre sul metodo di Lacenaire, un metodo semplice, spiccio, che lascia difficilmente traccia dell'autore del delitto.
Lo spiego in quattro parole. Io sono Lacenaire. Prendo in affitto un appartamento di parecchie stanze ammobiliate sontuosamente, sotto un falso nome. Mi faccio credere un grande proprietario di fondi o un industriale lontano dalla capitale o un rentier di provincia. Pago regolarmente la pigione, mi faccio credere un uomo dabbene, caritatevole, pronto sempre a dare la mancia alla portinaia che diffonde la mia bontà innata. Sconto una cambiale sotto il mio falso nome da pagarsi al mio domicilio. Aspetto la scadenza senza paura e senza tremiti. Sono io che apro l'uscio al fattorino. Non c'è in casa nessuno. Egli si toglie dalla valigetta a tracolla la lettera di cambio. Io la guardo senza impallidire e ne leggo magari i nomi dei giratari con un sorriso che lascia più tranquillo l'uomo venuto a riscuotere. Se non avessi danari, sarebbe una disgrazia che mi obbligherebbe ad assalire la mia vittima lì per lì, in un modo confuso, e che potrebbe procurarmi la noia di udirlo gridare al soccorso. Io, Lacenaire, avrò dunque i denari. Tiro fuori il portafogli o vado a prenderlo allo scrigno nella stanza attigua. Gli conto i denari e obbligo così l'attenzione del fattorino a perdersi nel numerario.
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