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      È in lui la natura del pusillo. Nato nel 1844 a Termini-Imerese, egli, uomo pubblico, ha potuto attraversare quello che si è convenuto chiamare il periodo eroico, senza andare mai sul terreno dei duellanti. Le ingiurie più crudeli gli hanno forse fatto venire la bava alla bocca e levare i pugni dalla collera tra le pareti del suo palazzo, ma non sono mai riusciti a crispargli, dirò così, la faccia pubblica. La faccia pubblica è rimasta di bronzo, imperturbabile come quella della sfinge. Lo si è insultato come ladro, come manutengolo, come assassino, come intimo dei briganti della banda maurina, e tuttavia egli è rimasto tranquillo, egli non è corso mai a comperarsi un paio di sciabole per sventrare i suoi calunniatori. So che è cristiano, ma so pure che l'uomo pubblico deve avere la casa di vetro ed essere costantemente nella condizione della moglie di Cesare.
      Le accuse solenni del figlio di Notarbartolo avrebbero messo delle macchie di sangue negli occhi anche di un santo. L'Italia, dopo averle lette, è rimasta come senza respiro. Ciascuno si immaginava una tragedia spaventevole. Io me lo figuravo in treno concitato come un leone in gabbia, ansioso di giungere sul luogo per rovesciarsi sull'uomo che lo aveva assassinato moralmente, per gridare in faccia a tutti: Signori, ecco il miserabile che mi ha denunciato come colui che si è lavato nel sangue di suo padre! Fuori le prove, voglio le prove, ho diritto alle prove! Signori, sono innocente! E con quest'ultime parole lo vedevo disperato, pieno di lacrime, turbato nell'anima come un cristiano sotto il macigno della calunnia pubblica.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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