Non ho mai potuto scovare le sue odi, e non mi è stato mai possibile di trovare a prestito o di comperare il suo dramma storico "Gian Luca Squarciagola", ma confesso che la sua lettera rivela il bagaglio letterario di un ragazzo di seconda elementare che riprende la penna molti anni dopo. Rileggetela, e non vi troverete che l'uomo invecchiato a vendere abiti fatti e sacchi di zolfo. Me lo avevano gabellato per un'esteta dell'inchiostro che indugia con delizia sull'incudine a brunire le frasi e a renderle pieghevoli alle esigenze di un superuomo. Sono stato disilluso. Se lo stile è l'uomo, i razzi dell'ingegno dell'onorevole Raffaele Palizzolo non sono mai andati in aria o sono caduti senza accendersi. La sua lettera è arida, legnosa, senza cuore, senz'anima, senza neppure l'indignazione dello scrittore truculento che ha sentito la pugnalata.
20 dicembre. - Da noi gli accusati subiscono le pene dell'inferno. Sono trattati peggio dei cani. Siamo ancora barbari che li consideriamo colpevoli prima del verdetto dei loro pari. Vi si arresta in un modo brutale, senza riguardi, magari in mezzo alla famiglia che piange. In prigione diventate un numero di matricola. Vi si fa alzare al suono della campana, vi si obbliga a mangiare quello che vogliono e come vogliono, con un moncone di cucchiaio di legno che pare portato via a un accattone. Vi si proibisce di bere, di fumare o di leggere quello che vi pare e piace. Vi si misura l'acqua da lavarsi col cervello del cretino o dell'usuraio sudicione e vi si costringe a sdraiarsi sur un saccone pieno di immondizie.
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Luca Squarciagola Raffaele Palizzolo
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