Sono rientrato affranto come un uomo che ha perduto tutte le forze in un pianto dirotto. Vi ho lasciato qualche cosa di mio. Ho sentito molto in mezzo a una calca che pareva sommersa in un dolore inconsolabile. E la sensazione tragica sarebbe ancora in me se non fosse stata interrotta dalle parole del principe di Camporeale. Ha detto cose sensate ma non si parla dove è sospesa la respirazione, dove sovraneggia il sentimento della gratitudine, dove impera il pensiero che si consuma nel silenzio e nella emozione. Tacete, o signori, nei cimiteri, anche se avete l'anima di Bossuet o di Chateaubriand per elevarvi coll'agitazione dell'anima sulle vette della pietà e dello strazio. Perché non c'è nulla di più commovente che una massa enorme di gente dinanzi una tomba, con la mano in mano, cogli occhi perduti sulla ghiaia, col cuore naufragato in un lago di tenerezza, con la gola inondata di mestizia. Il silenzio si diffonde, coinvolge, penetra e va per la vita come dell'eloquenza che fa piangere, dell'eloquenza che vi dà l'estasi del dolore, dell'eloquenza che seppellisce in voi un ricordo eterno.
Tacete, o signori; lasciateci sprofondati nella religione dei morti, lasciateci nell'oblio della vita, così, come quando si è trambasciati per una sventura sentita.
Queste idee che aboliscono i discorsi nei cimiteri mi sono germogliate in quello di Dublino. Saremo stati duecentomila persone, nessuno parlava, nessuno alitava. Parnell discendeva nella buca lentamente. Non si sentiva che lo sfregamento della fune e lo sforzo dei sepoltori.
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