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      I doganieri si impadronivano dei giornali di moda, dei quotidiani politici e di tutti i valori esotici. Pareva che Pietro il Grande che aveva edificato Pietroburgo con cervelli tedeschi e che si era compiaciuto di lasciare intedescare la sua persona dal sarto germanico, non avesse fatto dell'imperialismo sullo stesso trono. Con Nicola I il 49 non ha avuto risonanza. È come se non avesse soffiato in Europa. Lo storico non ne avrà sentore che leggendo i profughi. Più di tutti Bakunin, l'agitatore sommo - la rivoluzione in cammino, l'uomo che lasciava dappertutto fiamme internazionali. Guizot lo ha mandato alla frontiera dopo averlo dichiarato una "persona troppo violenta!".
      Le generazioni di Nicola I vegetarono. Non produssero. Lavoravano per mangiare. Nei "nidi" dei signori si poltriva. Negli ultimi anni del suo regno non si trovavano che sbadigli, che stanchezza, che cervelli che non concepivano che il suicidio. L'ultimo disprezzo del sovrano fu per Goethe. Egli ha fatto agguantare dai suoi doganieri quel pazzo di Fausto che stava per entrare a indiavolare i sudditi. Basta di lui. È Nicola II che ci interessa. I suoi primi passi furono del vaccone. Lo si trova fra gli ufficiali della guardia e due futuri arcivescovi - Serafino e Ermogene - e il granduca Nicolaievic che si ubbriacavano come scrofe e si abbandonavano all'omosessualismo degli Oldemburg della Tavola rotonda, di puzzolentissima memoria. Il granduca che ne comandava il reggimento è rimasto celebre a Zarkoie-Selo per le sue potenti sbornie.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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