Egli si sentiva indispensabile. Andava e diceva a se stesso che non sarebbe arrivato a Mosca senza il telegramma che lo avrebbe richiamato. Fu così. Due giorni dopo era al suo posto. Egli vi era ritornato più fiero, più sovrano del sovrano, più dittatore di prima. Lo Czar non lasciava trapelare a nessuno, i suoi sentimenti. Ascoltava coloro che glielo rimproveravano in silenzio. Un giorno gli è arrivato un amico del padre dell'imperatore, luogotenente generale del Caucaso, tutto impressionato della cronaca scandalosa che imperversava nel territorio della sua influenza. Adesso, gli disse, bisogna che io te ne parli. Sai tu che coi tuoi Rasputin la tua casa andrà in malora? Tu giuochi il trono di tuo figlio! Il vecchio servitore fu eloquente. Credeva di avere turbato il monarca affondato nel divano con il mento in una mano. Pensieroso, scoppiò in singhiozzi. "Perchè Dio, disse, mi ha affidato un còmpito così grave?" Il luogotenente se ne andò commosso della commozione dello Czar di tutte le Russie.
All'indomani, invitato a colazione, rivide lo Czar in una parte del parco che giuocava col figlio e con Rasputin! Il paesano sadico, vestito da santone, vinceva tutti. Egli era onnipotente.
Un altro giorno lo scoperse nel gabinetto di lavoro dove lo Czar, facendo delle firme che costavano alla nazione 450 lire al minuto. Rasputin discuteva con l'imperatore!
La sua dimestichezza con l'ultimo Romanov era tale che anche in viaggio si telegrafavano a vicenda come colleghi. Erano scambi di frasi sguaiate e confidenziali, avvertimenti o congratulazioni.
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