Traditore! Traditore! nemico del popolo! A colui che voleva aspettare il tribunale venne rimproverata la sua origine borghese. Sei uomini saltarono nella carrozza del treno, lessero al generale la sentenza di morte. Le guardie rosse lo spinsero fuori del vagone. Non gli si dette il permesso di giustificarsi. Due rivoltellate alla gola lo sbarazzarono della vita...
Noi siamo per il giudizio, anche se fosse presieduto da Fouquier-Tionville, venuto a noi dalla grande rivoluzione francese come un cinico e un fanatico implacabile. Ma noi possiamo capire anche il giudizio sommario, quando una nazione si sveglia alla libertà dopo trecento e più anni di sudditanza a un trono che continuava a rappresentare l'"Etait c'est moi". Meglio Cartouche, meglio Mandrin, che la giustizia dei giudici dell'antico regime impersonato nei Romanov!
L'insensibilità apparente dei leninisti è in un altro fatto. Muore Giorgio Plekhanof, partigiano di una repubblica che non differisce gran che da una monarchia costituzionale. Il funerale fu un omaggio commosso delle classi colte e degli intellettuali antileninisti al celebre marxista dei primi tempi. Il suo ritorno in Russia non fu che un annuncio di due righe di cronaca. Egli era per la guerra e non aveva che sberleffi per Lenine e Trotski. Invitati i rossi a partecipare al funerale, il Soviet massimalista di Pietrogrado rispose: "Per noi è un anno ch'egli è morto". Così diceva in Italia il povero Molinari di Kropotkine: "Per me è morto da tanto tempo". La diversità è questa: quindici giorni dopo la morte di Plekhanof venne assassinato per le strade Volodarski, organizzatore di comizi leninisti, direttore di quasi tutto il quartiere industriale di Viborg.
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