Ieri è caduto Ouritzki, descritto dalla borghesia come un furente esecutore di ordini a mano armata. Lo si diceva un uomo che si alzava di notte a trasferire i prigionieri da una carcere all'altra, tirando colpi di fucile al dorso di chi lo irritava. Il Marat della rivoluzione russa si sbarazzava dei cadaveri buttandoli nella Neva, come si era fatto di Rasputin. "Arresto chi voglio e non ricevo consiglio da nessuno", diceva. Viceversa non era che un rigido commissario del popolo all'istruzione pubblica. Uscendo dal ministero dell'interno, accasato al Palazzo d'Inverno, mentre stava per raggiungere l'ascensore, un giovine gli tolse la vita con una rivoltellata.
Ritorniamo a Lenine. L'attentato ha imperversato l'opinione pubblica fino all'incendio. Nella notte stessa vi furono un po' dappertutto fucilazioni di rappresaglia. L'opinione pubblica non si è tranquillizzata che dopo la fucilazione della Kaplan.
Intermezzo.
Si sente che il bolscevismo è su di un terreno solido. Progredisce tutti i giorni. Ma come nella grande rivoluzione francese, nella grande rivoluzione russa i cambiamenti sociali producono i brontoloni, gli spostati, gli uomini e le donne che non vedono nei movimenti nuovi che disastri personali. L'ambiente vecchio non si lascia distruggere dal nuovo in un attimo. Fu così anche ai tempi della Convenzione. Alcuni si spaventavano, si coricavano o andavano a tavola con il veleno in tasca. Alcuni preferivano la morte furtiva del suicidio alla morte drammatica della fucilata.
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