E l'aristocrazia e la borghesia degli ambienti signorili lo difendono come un debole. Non si ricordano. Sono come smemorati. Non si ricordano più delle catene degli intellettuali avviati alla morte lenta in Siberia, della gioventù punita con tutti i castighi, delle frustate nel sepolcro dei vivi, delle galere, della corda del carnefice; del proletariato massacrato ora dai cosacchi, ora dalla gendarmeria e ora dalla polizia. Tutto questo è niente. Nicola imperatore per loro è rimasto indiscutibile. È lui solo che pensa alla "felicità" di centottanta milioni di sudditi. Domani è sorpreso dalla bufera rivoluzionaria. Lo si arresta, lo si giudica e lo si ammazza come una belva che si forbiva le labbra del sangue che versavano i suoi cortigiani, i suoi lacchè e si grida a squarciagola che si è compiuta non una giustizia, ma una vendetta! Se fosse, non sarebbe più che giustificata? In rivoluzione non si è santi. À la guerre comme à la guerre.
I suoi alti servitori fuggono e gridano dall'Europa continentale all'assassinio bolscevico, ai banditi del bolscevismo, ai Gasparoni della rivoluzione. Ah no, signori, voi vi siete serviti troppo degli scribivendoli che vi facevano l'opinione pubblica, che vi facevano assolvere dai mostruosi delitti che compivano i satrapi delle provincie incaricati di devastare i campi umani.
La storia non è più fatta da voi. Se Lenine e Trotski avessero seguìto l'andazzo delittuoso di Kerenski avrebbero meritato dai posteri la forca. Così, no. La storia della grande Rivoluzione francese è stata ripresa dopo la fucilazione dello Czar.
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