Così è della famiglia dei Romanov. Lo Czar che fu il più raffinato simulatore della vita imperiale, il più indifferente degli uomini davanti alle catastrofi nazionali, che aveva accumulato in sè tutti i mezzi di maciullare il genere umano, che aveva inflitto le sue perversioni a centottanta milioni d'uomini per un ciclo di 24 anni, che si era buttato sui cervelli aperti alla vita nuova, grandiosa e ascensionale per farne una poltiglia sanguinosa, ha già trovato un manipolo di pennivendoli che dà la stura al bottiglione della pietà, della compassione, della esaltazione. Nicola non è più il pederasta dei giorni giovanili, il turpe vaccone di Rasputin, il degenerato del trono che sguinzagliava i mercenari del Don per decimare le folle in processione a colpi di revolver e di scudiscio cosacco, che puniva banditescamente coloro che domandavano quello che c'è già da mezzo secolo nelle monarchie europee, che trucemente sopprimeva gli ebrei come immondizia, è già nelle mani di chi si serve dell'inchiostro della venerazione.
Il povero Nicola fu un infelice, un disgraziato, un santo. La colpa fu dei suoi consiglieri. Lui non sapeva niente. Poveraccio! L'assolutismo in cui teneva il regno era dei suoi cortigiani. La tracotanza mascalzonesca con cui trattava le deputazioni che si curvavano al "piccolo padre" per ottenere qualche pertugio o una buffata di libertà era dei suoi Protopopof.
Circondate pure di benevolenza l'infame omicidiario imperiale che ha compiuto tanti delitti sociali da non avere parole per crocifiggerlo!
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