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      La notizia del misfatto ministeriale non la si è saputa che a sera tardi.
      I particolari hanno centuplicata la collera cittadina. Pietro Barsanti era morto da eroe. Avvertito mezz'ora prima, non ha detto una parola. Il picchetto comandato da un ufficiale è andato a prenderlo alle due meno cinque e lo si è condotto davanti alla Torretta. Non ha voluto aiuto. Si è tolto il cappotto da sè e si è bendato gli occhi con le sue mani.
      - Fuoco!
      È caduto con otto palle nel cranio, coi capelli, la fronte e la faccia innaffiata di sangue. Con un procuratore in Milano come il Robecchi che massacrava i giornali a sequestri e che faceva fare gli arresti preventivi dei gerenti e dei direttori, i quotidiani non hanno mandato in pubblico la fucilazione che in una prosa ammansata. Ma non si sono salvati. Robecchi li ha acciuffati come se fossero stati pieni di urli sediziosi.
      Non è stata rispettata che la "Perseveranza", perchè essa aveva incitato all'assassinio ministeriale e perché aveva soffocata la notizia fra le altre notizie di cronaca senza neppure l'onore di un "grassetto" o di un "negretto".
      Il 20 marzo 1871 si doveva inaugurare in Milano la statua a Beccaria. Il ministro era l'oratore ufficiale, vale a dire che doveva congratularsi con il Paese, che aveva abolito la pena di morte.
      Felice Cavallotti, direttore del Lombardo, gli aveva preparato una smentita, pubblicando sul suo giornale il fac-simile della medaglia d'oro che alcuni cittadini avevano fatto coniare a imperitura memoria della efferrata barbarie del governo italiano, composto del Lanza, di Cesare Correnti, di Emilio Visconti Venosta e di Giuseppe Gadda.


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Il cinquantenario
Note per la ricostruzione della vita pubblica italiana
di Paolo Valera
Casa Editrice Sociale Milano
1945 pagine 97

   





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