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      È subito veduto. Non ci sono che croci mortuarie. Ricevuto in dono il reame dai "filibustieri", la borghesia non ha avuto che un pensiero: sfollare, massacrare, uccidere. Le provincie meridionali sono state letteralmente sfollate. I terrazzani, e i cafoni che non avevano niente da mangiare e che vivevano negli squallori di una miseria negra, sono diventati tutti briganti. Eccovi l'epitaffio parlamentare: "Su 375 briganti che si trovavano il 15 aprile 1863 nelle carceri della provincia di Capitanata, 293 appartenevano al misero ceto dei così detti braccianti". Con una polizia omicidiaria e un esercito autorizzato a fucilare senza giudizio chi voleva, è facile capire che anche gli altri ottantadue non potevano essere che poveracci senza pane.
      Il brigantaggio è nato per reazione. Per salvarsi dalle revolverate, dalle sciabolate, dalle fucilate, dalle baionettate. Il mio documento è la relazione Massari - un deputato devoto a Vittorio Emanuele II. Il padrone della terra d'allora se non era il barone, era il "signore feudale". Non s'arricchiva che lui. I sudori del contadino non producevano che fame. E allora? È il Massari che parla: "Il contadino condannato alla perpetua miseria, si fa brigante: richiede, vale a dire, alla forza quel benessere che la forza gli vieta di conseguire. Preferisce i disagi della vita del brigante. Il brigantaggio diventa, in tal guisa, la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche secolari ingiustizie.
      I veri briganti erano più umani dei conquistatori borghesi.


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Il cinquantenario
Note per la ricostruzione della vita pubblica italiana
di Paolo Valera
Casa Editrice Sociale Milano
1945 pagine 97

   





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