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      Tutte le lagrime si son confuse sulla scalinata del Famedio del cimitero monumentale. Le lagrime dei socialisti e le lagrime dei repubblicani e dei democratici.
      Molti sono stati giornalisti. Nessuno è stato come lui, neppure il Rochefort dei tempi imperiali. In un periodo in cui tutti erano venduti o in vendita, in cui tutti si inginocchiavano alla monarchia per delle sinecure, per delle cattedre, per delle imprese lucrose egli è stato un leone che ruggiva per la moralità di tutti. È stato lui che ha denunciato i pennivendoli stipendiati coi fondi segreti, che ha preso per il collo i Bonghi, i Torelli Violler, gli Emilio Treves, i Brenna, i Dina, gli Avanzini, i Fortis, i Papa, quando i Papa scrivevano nel Pungolo e nella Arena di Verona.
      Duelli, carcere, processi, condanne, persecuzioni, sono stati i primi anni della sua vita pubblica. C'è stato un momento in cui Cavallotti e Bizzoni sono stati i d'Artagnan del giornalismo milanese. Non rifiutavano mai una sfida. Hanno sfidato tutta l'ufficialità degli ussari in un giorno. Si sono battuti tre volte in una sera. Sono loro che hanno rivelato i tripotages della Regìa cointeressata.
      Alla Camera Felice Cavallotti non ha avuto uguali. Per tre anni di seguito non ha lasciato in pace il trasformismo di Depretis - il Depretis che manteneva una legione di "giornali obbrobrio", che pagava a un tanto il mese gli improperi grossolani e quotidiani degli abbietti scribi contro gli avversari del Governo. Depretis lo ha castigato facendo lavorare i suoi prefetti e facendolo lasciare sul lastrico in cinque collegi nei quali era simultaneamente candidato.


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Il cinquantenario
Note per la ricostruzione della vita pubblica italiana
di Paolo Valera
Casa Editrice Sociale Milano
1945 pagine 97

   





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