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      Coloro che frequentano il trani finiscono sempre male.
      Dicevo bene? Sicuro che non avevo niente, aperse l'uscio del primo camerotto e felicenotte. Non mi disse neppure che chiudeva. In casa mia, nel casone di via Ochette, siamo in sei e si vive tutti in una stanza. Si sa, un povero operaio non può fare tanto cogli affitti così cari. Si figuri che pago più di cento lire all'anno. C'è di buono che il padrone è una pasta d'uomo. Se non arrivo in tempo non mi butta in istrada. È un padrone di casa che sa anche lui il vivere del mondo. Con dei figli che mangiano tanto pane, un povero padre non può sempre pagare la pigione in giornata. Che cosa dicevo? Parlavo del camerotto. Un vero castigo di Dio.
      Mi sono trovato in mezzo a un fumo che mi fece chiudere gli occhi e tossire come un vecchio di sessant'anni. Non ci si vedeva. Era pieno come un uovo. Gli uni erano addosso agli altri e nessuno poteva muoversi. Creda a me che non dico bugie. Erano gli uni sugli altri come le sardine. Fu una vita da cane la notte del mio arresto. L'aria che si respirava rivoltava lo stomaco. Faceva venire voglia di vomitare. Nel piccolo spazio tra l'uscio e il tavolazzo, pareva di essere in una marcita. Gli sputi di tutta quella gente che masticava il tabacco avevano ridotto il terreno molle e sdrucciolevole. Coi piedi nelle pozzanghere si stava malaccio. Si sentivano i reumatismi venire su per le gambe. Non si poteva camminare perchè eravamo in troppi. Quando tiravo su il piede per poggiarsi sulla gamba, sentivo il "ciac" della palta che si staccava dalla suola.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Ochette Dio