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      Il portone traduceva un corpo di guardia improvvisato in una cittą insorta. Un portone coll'andirivieni della gente che fa paura. C'erano soldati in piedi, soldati che riposavano sulla paglia sternita nei fianchi, soldati che entravano e uscivano, soldati che si asciugavano la fronte e si aggiustavano la giberna sul ventre. Si vedevano andare e venire secondini, guardie di finanza, delegati, questurini, carabinieri, ufficiali, autoritą carcerarie, autoritą militari - tutte persone che ricordavano il momento, persone dalla faccia feroce, persone che passavano come ventate di collera, persone pronte a venire alle mani col primo che avesse detto una corbelleria.
      L'ufficiale di guardia pareva, col pensiero, a spasso. Con la ciarpa azzurra a tracolla, seduto sulla sedia addossata al pilastro con una gamba sopra l'altra, si ninnolava buttando in alto il fumo diafano della sigaretta.
      Le donne giungevano sole e a gruppi con i fagotti, i canestri e le corbe piene di roba e si appoggiavano al muro della carcere o andavano ad occupare i sedili di granito della piazzetta o si aggruppavano alle altre aggruppate nel largo in faccia al bastione. Tra le popolane dal faccione prosperoso e dalle maniche rimboccate sull'avambraccio bronzato, c'erano vecchie che si reggevano a mala pena in piedi, teste che riassumevano la primavera nella chiarezza mattinale e figure dalla faccia bianca o scolorata che uscivano dalla moltitudine con le loro vesti e i loro cappelli neri come tante ditte di un ufficio mortuario.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316