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      Alcuni, con gli abiti che non avevano perduta tutta l'eleganza e con la faccia cadaverica fino alla fronte, davano l'idea degli insorti còlti sulle barricate colle mani odoranti la polvere.
      Altri, a piedi nudi, coi gomiti all'aria come le ginocchia, traducevano la loro vita grama di poveracci che basivano sul marciapiede e stendevano la mano ai passanti.
      Le donne si lasciavano commuovere. Alcune singhiozzavano e dicevano che era meglio morire che vedersi trattati come birbaccioni che avevano fatto del male. Altre si mordevano le labbra e si scricchiolavano le dita per reprimere la sensazione che dava loro stille di sudore e faceva loro pulsare le tempie dal disgusto e dalla furia.
      Non mancavano più che cinque minuti. La calca piegava verso l'entrata.
      La prima fila, spinta dai nuovi venuti che si cercavano un posto al centro tra le proteste generali, andava più di una volta sul cordone militare che non si rompeva.
      La ragazzaglia aveva dimenticato la tensione dell'angoscia generale e si era abbandonata al chiasso, e le donne, le più attempate, che si straccavano a stare in piedi, mormoravano con la voce piagnolosa.
      Proprio, non si aveva pietà per le donne dei poveri prigionieri. Con tanta gente che soffre e con tanti soccorsi, la direzione non s'era commossa. Continuava a ricevere alla stessa ora, nelle stesse ore, come se nulla fosse avvenuto di straordinario. Inzuccherate il veleno, o signori! Ci farete penare meno, ci farete! Non ci voleva un gran giudizio per capire che bisognava far porta un po' prima.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316