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      Alla una pomeridiana, le donne giunte tardi o rimaste tra quelle che non avevano potuto consegnare i fagotti, piangevano dirottamente.
      La campana aveva chiusa la consegna e la campana non aveva budella.
      Era un grande dolore rifare la strada con il mangiare, dopo aver fatto tanta fatica e avere speso tutto quello che c'era in casa per consolare i poveri cristi in prigione.
      - Aveva ragione Antonia di dire che era una grande punizione questa che Dio ci aveva mandato!
     
     
     
      Il diario di un mese di Cellulare.
     
      La mia cella è una fornace. Ho il sole sulla muraglia esterna dal sorgere al tramonto del sole. Subisco una trasudazione che mi snerva. Preferisco però l'isolamento alla compagnia della stanza intermedia. Coi miei compagni sarei divenuto uno scemoide. A poco a poco il loro linguaggio antintellettuale e trivialmente sbracato sarebbe divenuto il mio. In otto giorni mi ero già abituato a passeggiare sull'ammattonato fracido dei loro sputacchiamenti.
      Gli habitués del carcere manifestano ogni giorno, alle finestre, i loro rancori contro i cosidetti rivoluzionari. La polizia ne ha fatte delle retate e l'autorità carceraria ha dovuto affollarli nelle celle. Ci accusano di essere gli autori delle loro disgrazie. Dicono che i giudici, in conseguenza dei tumulti, sono diventati eccessivamente severi. Coloro che in tempi ordinarii se la sarebbero cavata con delle settimane o dei mesi, ritornano al Cellulare con degli anni di lavori forzati e di sorveglianza.
      - La sorveglianza - disse uno di loro - conduce al domino (domicilio coatto).


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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