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      Il capoguardia è uno sbilucione con tanto di pancia. In questo momento è impossibile dire se egli sia un burbero con del cuore o se sia in lui l'anima dell'aguzzino. Perchè il personale di custodia è come invaso dalla paura di riuscire mite. Parla a monosillabi, ha una voce che sente del carceriere e preferisce dire di no ai detenuti che gli domandano qualche cosa. Ieri, dopo tanta insistenza, ho ottenuto il permesso di tagliarmi le unghie vellutate e lunghe. Ma ho dovuto tagliarmele alla presenza di questo omaccione che rintuzza ogni desiderio col regolamento. Il suo ufficio è un bugigattolo in faccia all'ufficio di matricola. È in esso che ho avuto il primo colloquio. Il capo metteva la sua faccia tra la mia e quella del mio amico. Ci teneva addosso gli occhi semichiusi e ci interrompeva tutte le volte che tentavamo di parlare degli avvenimenti e di scambiarci notizie che sapevano tutti.
      Gli ho ridomandato una cella a pagamento per avere il chiaro alla sera, la materassa sulla branda e un tavolino con la scranna.
      - Ce ne sarebbero così delle persone che vorrebbero questi comodi! Abbiamo faticato a trasformare una cella a pagamento per don Davide Albertario, venuto qui il 24. Con un prete non potevamo fare diversamente. Con le guardie occupatissime siamo anzi obbligati a mandarlo al passeggio solo per impedire che qualche mascalzone lo insulti. Si sa, il Cellulare non è un collegio.
      È suonata la campana che annuncia la distribuzione del pane. I prigionieri la chiamano la "voce di Dio". È un minuto di raccoglimento.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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