- Uhm!
Stamattina sono stato chiamato ad "udienza". Tra le sette e le otto il direttore viene al centro della carcere, va in una stanza che partecipa della rotonda lambita dagli esagoni e dà "udienza".
Coloro che si sono fatti iscrivere e coloro che sono stati iscritti a loro insaputa, escono dalla cella al suono della campana che chiama a "udienza", discendono e si fermano sulla punta del raggio, dove aspettano che Minosse vada in sedia.
È una mezz'ora che l'ho veduto.
Il direttore era seduto a un tavolo di cucina, con la faccia sullo sfogliazzo e le braccia sul tavolo come pesi in riposo. Con una mano faceva dei segni rossi in margine al nome e con l'altra andava alla ricerca della pagina.
- Come avete fatto a romperla?
- Mi restò il manico in mano.
Mi entrò negli occhi come per precipitarsi negli abissi della mia coscienza e risalirne con la bugia in mano.
- Andate! mi disse.
Ho saputo dopo che ero stato condannato a pagarla. Non sono i venti o i trenta centesimi che mi fanno sprecare l'inchiostro. Ma io domando se è giustizia di farmi pagare un chiccherotto che mi si è dato slabbrato e pieno di crepe e che aveva servito a chi sa quanti detenuti. Vi pare, o signor direttore, è giusto che un poveraccio sconti col digiuno un avvenimento che può avvenire a voi, alle vostre figlie, alla vostra signora, alla vostra serva, a tutti coloro che bevono?
Mi tocca proprio dare dell'animale all'avvocato Guglielmo Gambarotta. È qui nel mio raggio, sullo stesso piano, ha la cella piena di volumi, mi ha lasciato supporre che mi avrebbe fatto fare un'indigestione di libri e poi mi tiene qui a penare e ad aspettarli ad ogni piede che passa!
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Minosse Guglielmo Gambarotta
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