Pagina (30/316)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Poi si farebbe del male alle guardie che stanno più male di noi che abbiamo svaligiato o assassinato qualcuno. Hanno un servizio di diciassette o diciotto ore sulle ventiquattro e pagano, con le trattenute sullo stipendio ridevole, i pisolini notturni, e le mancanze che fuori di questo luogo farebbero storcere le budella dalle risa.
      La barba lunga mi ha sempre fatto schifo. Al largo me la faccio radere una volta al giorno. In questo periodo di Bava Beccaris ho dovuto lasciarmela crescere quattordici giorni. I peli mi pungevano come tante pagliuzze.
      Adesso sono sbarbato e non mi pento. Ma vi so dire che ho passato un brutto momento. È entrato nella mia cella un uomo che mi pareva avesse gli occhi lucidi del bevitore. Il suo alito puzzava di grappa e le maniche della sua giacca sucida erano lastricate del pattume del mestiere. A ogni movimento sputava in terra la saliva negra della cicca che egli rivolgeva come un boccone sotto i denti. Mi ha messo al collo uno straccio sporco come un cencio di cucina. Gli aveva servito per sbarbare un raggio intiero. A ogni rasoiata sudavo come sotto un'operazione chirurgica. Avevo sempre paura di vedermi cadere una sleppa di carne insanguinata. Sbatteva sul pavimento, che avevo reso lucido con le mie braccia, le ditate della spuma coi peli che si era accumulata sul suo rasoio. Il suo modo era spiccio. Dalla eminenza dello zigomo passava per la guancia come una strisciata di rasoio.
      Lascia peli dappertutto, specialmente dove il rasoio non può scorrere liberamente, come nella pozzetta del mento.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Bava Beccaris