Le maniche non hanno uscita per le mani. Il supplizio maggiore è intorno al collo. È una tela rigida che lo sega. Se le guardie incaricate di chiudervi l'individuo non sono umane, la camicia di forza diventa una vera tortura. Io credevo di non arrivare alla fine. Vi respiravo con una fatica rantolosa e lo stringimento mi dava una molestia che mi faceva impazzire. Dopo qualche ora passata con le braccia legate sulla schiena, come Gesù Cristo, diventai furioso. Gridavo, mi rotolavo per il suolo della cella buia e sotterranea con degli sforzi per liberarmi dal camiciotto che mi dava un tormento spasmodico, ma nessuno veniva a calmarmi o a vedermi. Non fu che il sonno che mi diede un po' di requie. Molti dei condannati al camiciotto che sopprime ogni movimento, implorano la commutazione del castigo. Preferiscono un periodo più lungo di camerella con pane e acqua alla tela che pigia le carni su sè stesse con intendimenti assassini. Ma è difficile che si riesca ad ammansare i direttori. La clemenza non è il loro forte. Ho conosciuto un detenuto, imbestialito dagli spasimi atroci, che portò via coi denti un pezzo del tavolato sul quale doveva dormire.
La maggioranza tace. Essa soffre il supplizio senza mandare un lamento. Ci sono individui che si farebbero attanagliare piuttosto che domandare perdono al loro carnefice, come ci sono nature che possono resistere a tutte le pene dell'inferno.
Il regolamento è meno scellerato dei loro interpreti. Esso dà dei riposi anche alla camicia di forza e ingiunge che dopo quarantotto ore consecutive rimanga inoperosa per ventiquattro.
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Gesù Cristo
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