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      I pretori li condannano da tre giorni a un mese di detenzione.
      C'è per aria qualche cosa di grosso. Da domani non potrò più tenerla al corrente. Il nostro amico è sospetto e la vigilanza è stata raddoppiata. Le guardie cambieranno raggio magari ogni giorno. Il loro posto non lo sapranno che al momento di andare in servizio. Non si scoraggi e lasci passare la bufera. Dopo vedrà che non mi chiamo mica quello che mi chiamo per nulla. Mi cambi il nome se non riuscirò a riallacciare il filo stroncato dal temporale.
     
     
     
      La pagina intima del processo dei giornalisti.
     
      Il processo dei ventiquattro è stato chiamato dei giornalisti per fare del lusso.(1)
      In verità, i giornalisti rappresentavano la minoranza. Tanto è vero che ciascuno di loro leggeva l'atto d'accusa facendo tanto d'occhi.
      - Come, che c'entro io con costoro?
      Si conobbero, o almeno si videro, alle tre del mattino del 15 giugno 1898, nella stanza ove si "caricano e si scaricano" gli arrestati che vanno e vengono dal Cellulare. Fuori e dentro c'era ressa di carabinieri silenziosi, tetri, colle mani piene di ferri. Il loro capo era un capitano con l'occhialino nel cavo dell'orbita, con una cera accigliata, con due baffi marziali, che passava da una parte all'altra, col frustino in mano, facendo risuonare gli speroni degli alti stivali alla scudiera, mentre assisteva all'ammanettamento.
      Romussi pareva un po' più ingrigiato. Era ilare, salutava gli amici e presentava i polsi al suo ammanettatore con la faccia illuminata dal sorriso. I carabinieri giovani che adempivano a questo servizio erano più spietati dei vecchi.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Cellulare