Nella penombra del salotto le sue dite affusolate si muovevano e perdevano faville dappertutto.
Se avessi qualcosa da amministrare e potessi indurre Filippo Turati a prendersi cura del mio patrimonio, non esiterei un minuto ad affidargli la mia amministrazione. In pochi anni sarei sicuro di andare verso la ricchezza che ride dei rovesci degli altri. Egli è un ragioniere consumato. Ha l'occhio nell'avvenire ed è di una esattezza direi quasi scrupolosa. Questa abilità, che in un uomo di cifre diventerebbe una virtù grandiosa, in lui è un difetto che gli costa una somma enorme di lavoro intellettuale perduto. Mi sento male quando vedo il direttore della Critica Sociale scrivere gli indirizzi degli abbonati, registrare gli incassi, impaccare libri e correre alla posta carico come un facchino. Ma lui non smetterà mai. Egli chiama tutto questo una distrazione. Abituato a non darsi al riposo, continuerebbe a scrivere e diventerebbe prolisso e slavato come un pennivendolo da ottanta lire il mese.
Fuma dalla mattina alla sera. Terminata una sigaretta ne accende un'altra e continua così fino al momento di addormentarsi.
Alcuni che non lo conoscono bene sospettano in lui il tirchione che si lascerebbe ammazzare piuttosto che metter fuori un centesimo o offrire una bibita agli intimi che vanno a trovarlo. È un errore grossolano. Filippo Turati non è uno sciupone. Ma coloro che frequentano la sua casa sanno che la sua tavola è sempre popolata di amici e che la sua mano mette sempre nella mano dei bisognisti dei biglietti di banca.
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