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      Una sola volta l'ho veduto seccato di sapersi all'uscio persone che hanno bisogno di dirgli una parola. Stava facendo colazione e questi signori lo avevano fatto smettere sei volte. Alla settima rifiutò di muoversi.
      - Ah, per oggi basta, perdio! Ditegli che non ci sono, ditegli!
      Poi, dopo qualche boccone, si trovò pentito,
      - Era forse uno che meritava più degli altri. La ragione è che ne ho troppi. Da un po' di tempo il mio uscio sembra l'uscio del duca Scotti.
      È buono, generoso, leale, capace di amicizie vere, sentite. Il socialismo è la sua anima, la sua fede, il suo ideale. Per esso ha combattuto - per esso soffre - per esso sarà pronto domani e sempre a morire.
     
     
     
      Il cubicolo.
     
      Passando per il corridoio dei cubicoli, vidi nel secondo Chiesi, nel terzo Romussi, nel quarto Federici, e nel quinto don Davide. Credo di essere diventato pallido come un morto. Veduti col viso ai due bastoni di ferro in croce dell'uscio, mi parvero delle bestie o delle ditte di un museo di criminali. Le loro facce non erano più che grinte spaventevoli, con delle mascelle enormi, degli occhi biechi, delle fronti con tutte le stimmate del delinquente nato. Entrai nel sesto. Dopo di me, venivano Achille Ghiglioni e Costantino Lazzari.
      Il cubicolo era completamente vuoto. Non vi trovai che una lastra d'ardesia, larga poco più del corpo d'un uomo, infissa nella parete a destra. Mi distesi carico di emozioni, chiudendo gli occhi come per obbliarmi. Sarebbe bastata, una parola qualunque per farmi piangere. Non avevo paura, ma tutto ciò che si compiva nel silenzio di quell'attimo mi commoveva fino alla gola.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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