L'affezione per sua sorella è nota a tutti coloro che leggono le sue lettere datate da Finalborgo e indirizzate alla "cara Teresa". Sono lettere castrate e scritte nella condizione di un uomo che non può dire quello che sente e che vuole. Ma in esse è il pathos di un'anima addolorata. C'è la tenerezza di chi soffre della separazione e della lontananza. E la sorella lo ricambia di pari affetto. La sua assenza è il suo strazio. Per liberarlo, ha messo sossopra mezzo mondo. Ha mandato una lunga epistola all'episcopato italiano - ha scritto al presidente dei ministri e ha fatto bussare, a insaputa del fratello, fino alle porte reali.
In mezzo a noi, don Davide, non ha mai fatto sentire il prete. Egli era un compagno che prendeva parte alla discussione, che si adattava in un modo mirabile alla vita comune, e che rideva delle nostre risate come un giovialone che non si ricorda della condanna.
I forzati.
Il "forzato" è colui che sta scontando la sentenza che gli ha inflitto il vecchio codice. Lo si può dire il martire del bagno penale. Nessuno ha subito le sue torture. Egli è passato attraverso tutte le sevizie che sono nel regolamento composto dagli "estratti dei regi bandi del 22 febbraio 1826". Un'infrazione qualunque, come quella, per esempio, di essere reo di bestemmia o di imprecazione contro l'onore e la riverenza dovuta alla Maestà di Dio, alla Beatissima Vergine ed a tutti i santi, lo avrebbe mandato croatescamente sulla panca a ricevere la punizione di parecchie "bastonate". Tutti noi, compresi i direttori dei reclusori, possiamo smarrire qualche cosa senza crederci, per questo, meritevoli di punizioni corporali, non è vero?
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