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      Dormivano l'uno addosso all'altro come bestie.
      Uno - mi si raccontava - che avesse avuto bisogno di sputare di notte, doveva mettersi sul sedere e sbattere l'espettorazione al di lą dei piedi.
      La direzione persisteva nel mantenere due soli - dico due soli - catini di zinco, d'un litro e mezzo o due d'acqua ciascuno, per ogni camerata. Alla mattina era una lotta. Tutti volevano lavarsi nel recipiente, e invece dovevano contentarsi di una manata d'acqua che raccoglievano nel cavo delle mani. Questo modo di lavarsi produceva un altro inconveniente: lasciava le pietre della camerata sempre umide. E anche la popolazione delle case di pena ha una paura maledetta dei reumatismi.
      Nel subbuglio entrava anche la biancheria. Si cambiavano loro le lenzuola ogni quaranta giorni e le camicie lacere e acciabattate a intervalli di quindici giorni.
      Il fuori! fuori! era sempre in discussione. I pił vecchi ricordavano ai pił giovani che tale grido voleva dire una rivolta: e una rivolta di forzati e reclusi poteva avere delle conseguenze terribilissime.
      Mentre si svolgeva nelle camerate il concetto di limitarsi a una protesta individuale, si sentirono dei gemiti e delle voci strazianti che uscivano dai banchi di rigore.
      Il fuori! fuori! fu un fatto compiuto.
      Tutte le camerate furono in piedi. In ciascuna nacque un pandemonio indescrivibile. Le "asse dei pancacci" - mi diceva uno di loro - incominciarono a volare da una parte e dall'altra. Si urlava, si sgolavano ingiurie e si imprecava contro la giustizia.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316