Il Frezza le fece una predica. Pareva un padre che desse una lavata di capo alla propria figlia!
Tra il vagone cellulare e la carcere di sosta, mi trovai accoppiato con questo sciagurato. È piuttosto alto che basso, è snello ed ha un non so che sulla grinta che pare della malizia diffusa sulla faccia di tutti i galeotti.
Mi raccontava che aveva lasciato il bagno penale di Finalborgo e che la sua nuova destinazione era Barletta.
- Questo, mi disse, è il mio dodicesimo trasloco in trent'anni di bagno!
Lungo il viaggio mi offerse continuamente del suo pane e del suo salame.
- Quanto tempo impiegasti da Milano a Urbino?
- Sette giorni per un viaggio di dodici ore! A Urbino entrai nella R. Casa di correzione - un grande edificio che pare un palazzo, situato nella parte più alta della città - e, tutto sommato, non mi trovai male. Ero il numero 362. Quando me lo cucirono al camiciotto mi parve di sentire l'ago entrare nel mio cuore. Che impressione diventare un numero! Questo stabilimento - come lo chiamano la direzione e gli inquilini - ha parecchie officine, quattro dormitorii, in ciascuno dei quali dormono trentaquattro corrigendi, e due vasti cortili per il passeggio. Ci mandavano a dormire alle sette e ci facevano alzare alle sette. Era la cosa più noiosa della casa di correzione. Dodici ore di letto duro come il macigno, quando si è giovani, sono troppe. Prima della campana io stavo là supino, ad occhi aperti, colle gambe impazienti di sdrucciolare dal letto.
- Non vi si facevan fare gli esercizi militari?
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