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      - Sì, tre volte la settimana.
      I miei compagni erano tutti minorenni e tutt'altro che simpatici.
      Mi consideravano, per le mie idee, un ladro. Dicevano che volevo la roba degli altri. Erano sboccaccioni che mi facevano schifo. Sono esseri degradati, depravati, rotti a tutti i vizi. Mi accapigliai con uno di loro che mi insultava e andai in cella di rigore, dove mi si indossò la camicia di forza per alcune ore. Al mio avversario la lasciarono per alcuni giorni.
      Del direttore posso dire tutto il bene. Egli mi procurò i mezzi di stare in esercizio, facendomi lavorare come scultore in legno. Riuscii a fare il busto di Raffaello ed altri lavori lodati dal
      capo officina" e dallo stesso direttore. Il capo officina, prima che me ne andassi, volle baciarmi. Tenendomi tra le sue braccia continuava a dirmi di non dimenticarlo e di dire a mia madre che nella casa dei corrigendi avevo trovato "una brava persona, onesta e degna del mio affetto!"
      Il nostro vitto era come quello, probabilmente, delle altre carceri. Una pagnotta nera e una minestra che aveva tutti i sapori, all'infuori di quello della nostra minestra. Il Natale lo passammo maledettamente male. Ci aggiunsero al solito vitto un boccone di carne che non m'invogliava ad averne dell'altra, e un quarto di litro di vino che mi bruciava la gola.
     
     
     
      Studio galeottesco.
     
      L'uguaglianza di trattamento non impediva ai forzati di avere una grande simpatia per gli inquilini della quinta camerata e di manifestarla tutte le volte che capitava loro l'occasione.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Raffaello Natale