Pagina (133/316)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Il "civile" gli rise in faccia.
      - Adesso che l'hai, tientila!
      Gli "calò una benda sugli occhi" e lo uccise come un dissoluto malvagio.
      - Il mio dolore massimo è di essere stato creduto capace di premeditare il delitto.
      Ero andato da lui per riscuotere, non per ammazzarlo. Il mio fu un impeto di passione. Lo dissi al presidente del mio processo.
      Ora ne era pentito. Non potendo andare dalla famiglia, come fra Cristoforo, a domandarle perdono, le mandò una lettera bagnata delle sue lagrime.
      - La famiglia mi ha perdonato, il parroco del mio paese lo ha fatto sapere a tutti dal pulpito, ma il governo tace ancora. Ah, è duro il governo coi poveri condannati! Una volta che siamo pentiti dovrebbe permetterci di riabilitarci. Invece ci lascia morire in galera o ci manda fuori quando non siamo più che dei carcami da ricoveri.
      Porto la catena e la giacca rossa da diciannove anni e morirò forse in galera. Sia fatta la volontà di Dio! Ma mi dispiace, credano, di non rivedere più il mio paese!
      E il dolore gli fece sputare del catarro sanguinoso.
      Il sei settembre, il giorno in cui ci rase i baffi, era commosso come un minorenne perduto nel buco di una cella di rigore. Egli sapeva che cosa volevano dire questi crepacuori. Nei baffi era l'uomo. Radendoli, radeva il cittadino e non lasciava dietro il rasoio che un numero di matricola.
      Eravamo in sette e l'operazione durò più di un'ora. Andammo uno dietro l'altro dal barbitonsore, senza dirci una parola. Ciascuno di noi sembrava compreso del sacrificio, tranne forse Gustavo Chiesi, il quale conservò sempre l'attitudine dello stoico.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Cristoforo Dio Gustavo Chiesi